Quello che si sta consumando in Siria in questi giorni è qualche cosa di estremamente preoccupante, troppo spesso sottovalutato e che oggi ha portato a una vera e propria crisi delle relazioni dei paesi occidentali.
Una guerra iniziata, ormai sette anni fa (15 marzo 2011), sotto l’indifferenza dei paesi occidentali, è degenerata fino all’utilizzo di armi chimiche sulla popolazione civile, da parte di chi non è ancora del tutto chiaro, e allo schieramento di due ingenti flotte aereo-navali da parte degli Stati Uniti d’Ameria e della Russia(e relativi alleati).
Una guerra civile che ha messo nuovamente in crisi i rapporti dei due grandi blocchi storicamente contrapposti, come se si fosse ritornati a una sorta di “Guerra Fredda”. Una guerra, e una crisi, gestita malissimo a colpi di Twit e non con una vera e propria azione diplomatica. Una guerra in cui tutti gli stati interessati (Italia compresa) continuano a vendere armi. Insomma una guerra che, a veder le carte in mano, non si ha nessuna voglia di far finire veramente.
Chiaramente non si vuole avere la superbia di ripercorrere sette lunghi anni di guerra in poche righe, né, ovviamente, fare un’analisi delle colpe e delle responsabilità (non è la sede adatta), ma piuttosto di riflettere su cosa è significata la guerra in Siria per l’occidente.
A parte il fatto di aver distrutto completamente uno fra i paesi più belli del Medio Oriente e del mondo, cosa che potrebbe interessare poco ai fautori del “aiutiamoli a casa loro”, in primis, la guerra in Siria, ha creato una grande quantità di morti e quindi di profughi con tutti i problemi annessi, sia umanitari che politici, cosa che invece ha molto preoccupato gli “anti-buonisti”. Ha avuto grandi ripercussioni economiche, sia per quanto riguarda il turismo che per quanto concerne la esportazioni di materie prime, come il petrolio, solo per citarne una. Ma soprattutto ha rischiato, in più di un occasione, di far scivolare l’occidente in un nuovo conflitto globale. Del resto il twiet di Donald Trump, “Attenzione Russia i missili sono pronti” (che sembra più la sparata di un adolescente che la risposta del presidente della nazione più potente del mondo), è la prova tangibile di un fallimento totale della diplomazia tradizionale che non porterà a nulla buono.
Per questo prima che sia troppo tardi, e si lanci un missile solo per dimostrare il proprio “macismo”, bisognerebbe rimettersi a sedere al tavolo della pace, come si faceva un tempo, e non punzecchiarsi a suon di Twiet per far vedere i muscoli, perché ogni giorno in più che dura la guerra in Siria è un giorno in meno verso il conflitto globale.
(Articolo pubblicato su Notizie Italia News.)