Il romanzo (David and Matthaus, 14,90 euro) ripercorre il naufragio di un popolo, la sua cancellazione da terre in cui aveva vissuto e prosperato per secoli, il Metz Yegern, il Grande Male, come gli armeni chiamano il genocidio subito nel 1915 ad opera del regime dei Giovani Turchi.
Lo fa attraverso una prospettiva particolare, quella del ricordo di padre Komitas, uno dei pochi sopravvissuti alla strage, geniale musicologo e compositore, l’artefice principale della musica liturgica armena.
La lente scelta dall’autore guida ed amplifica lo sguardo del lettore su quanto accaduto in Anatolia un secolo fa. L’effetto straniante dell’intervista condotta da un giornalista italiano a p. Komitas, rinchiuso nel manicomio di Villejuif (Parigi), getta una luce sinistra, ma – ahimé – davvero adeguata, sulla follia disumana dello sterminio. Nel racconto doloroso di p. Komitas è come se scorresse tutta la follia del Novecento.
Racconto di morte e di strage, La melodia salvò il popolo sembra dunque contraddire il suo stesso titolo. Ma viene in mente un altro bel romanzo dedicato al Metz Yegern, ovvero Il libro di Mush, di Antonia Arslan, l’epopea di uomini e donne semplici, sopravvissuti per caso allo sterminio del loro villaggio, che portano in salvo l’omiliario di Mush, prezioso codice miniato del ‘200.
Come in quel caso il romanzo di Romeo ci racconta di un male che non prevale, di un desiderio di annientamento che, per quanto terribile nel suo svolgersi, alla fine esce sconfitto, perché c’è un’eredità che riesce a tramandarsi.
La grande storia degli armeni, la grande sofferenza di un secolo fa, sopravvivono nella forza di un popolo, nelle note solenni e meste di p. Komitas, ma anche nel desiderio del lettore di farsi vicino a una delle più terribili tragedie del secolo scorso.
(Articolo pubblicato su Notizie Italia News.)