LESBO- All’alba di questa mattina è stato dato il via alla prima fase dell’accordo fra UE e Turchia. L’accordo prevede il “rimpatrio di tutti i migranti illegali [profughi n.d.r.] che dal 20 marzo sono arrivati in Grecia passando per la Turchia”. Un accordo che ha suscitato il malcontento del Vaticano e delle associazioni umanitarie di tutta Europa, che hanno chiesto con forza di sospenderlo.
Purtroppo a nulla è valsa la mobilitazione dell’opinione pubblica e così oggi un primo gruppo di 202 profughi, quasi tutti di nazionalità pakistana e tutti arrivati nell’isola di Lesbo, è partito su due traghetti alla volta del porto di Dikili, in Turchia. L’imbarco dei profughi si è svolto tra pesanti misure di sicurezza e le proteste di tanti residenti che si sono schierati contro queste “deportazioni pianificate”.
«Questo è il primo giorno di tempi molto duri per i diritti dei rifugiati. Nonostante le gravi lacune legali e la mancanza di un’adeguata protezione in Turchia, l’Ue sta andando avanti in un accordo pericoloso», ha affermato Giorgos Kosmopoulos di Amnesty International. Intanto, fra mille polemiche e misure di sicurezza, sull’isola di Lesbo altri 4000 profughi attendono incerti di conoscere il loro destino.
Inoltre, se il trattato fra UE e Turchia si è rivelato decisamente carente dal punto di vista legale, contravvenendo a molte norme sul diritto d’asilo e sui diritti dei rifugiati, lo è stato ancor di più dal punto di vista umanitario. Infatti il trattato prevedeva uno “scambio” equo fra UE e Turchia di profughi “illegali” con profughi “legali”. Purtroppo anche questo punto è stato ampiamente disatteso, in quanto a fronte di 202 profughi rimpatriati, solo 16 siriani richiedenti asilo sono stati trasferiti dalla Turchia in Germania. Un accordo che al suo inizio ha già fallito su tutti i fronti.
Non solo – ed è doveroso dirlo – se a seguito del drammatico attentato di Bruxelles, molti paesi europei hanno puntato il dito su un ipotetico fallimento dello stato belga, che a loro dire non è riuscito a prevenire questo tragico evento, oggi purtroppo dobbiamo parlare di un fallimento del modello d’integrazione europeo. Infatti si è notato come i terroristi kamikaze, in tutti gli attentati fatti finora in Europa, non fossero profughi scappati dalla guerra negli ultimi mesi e anni, ma bensì di immigrati di seconda o terza generazione che non si erano pienamente integrati.
Per questo è chiaro che una risposta concreta al terrorismo internazionale deve essenzialmente passare per una politica d’integrazione dei nuovi profughi. Perché solo integrando la gente e le famiglie che scappano dalla guerra si può togliere terreno fertile alle varie organizzazioni criminali che mirano a spargere il terrore nel mondo.
(Articolo pubblicato su Notizie Italia News.)