Si può sopravvivere all’orrore dell’olocausto per essere uccisa barbaramente, per motivi religiosi, nella libera e progressista Parigi del 2018?
La domanda sembra retorica, ma purtroppo non lo è!
Infatti Mireille Knoll, scampata all’età di 10 anni all’orrore dei rastrellamenti nazisti a Parigi durante la seconda guerra mondiale, è stata assassinata lo scorso venerdì con undici coltellate, da un giovane di 29 anni (suo vicino di casa) di religione musulmana che conosceva molto bene. Un delitto reso ancor più assurdo dal movente religioso. Ma cosa sta succedendo a Parigi e nelle sue periferie? Ma soprattutto questa nuova ondata di odia etnico e religioso è una questione circoscritta solo a Parigi o, invece, è una cosa che si sta espandendo per tutta l’Europa come una macchia di petrolio sull’acqua?
Purtroppo in questa Europa post-globalizzata venti di odio stanno alimentando sempre di più il fuoco della rabbia e della paura. Oggi nel nostro continente, che un tempo è stata la culla delle battaglie sociali e che si è costituito sull’uguaglianza fra i popoli, non è più assurdo definirsi “razzisti”. Al contrario, se fino a qualche anno fa ancora ci si vergognava a pensare che l’altro fosse diverso e inferiore, oggi si ammette, anche con un certo becero orgoglio, che essere “razzisti” alla fine è l’unico modo per sopravvivere in questa miscellanea di popoli e culture.
Oggi prevale l’orgoglio rozzo del “pensa prima e solo a te”, facendo diventare il tuo vicino di casa improvvisamente il nemico da cui ci si deve difendere. Così, da un giorno all’altro, Mireille Knoll, ebrea di 85 anni, vedova e malata di Parkinson, all’improvviso diviene il male assoluto che si deve eliminare fisicamente (e in maniera estremamente violenta) in un orgia di follia omicida, esasperata da un linguaggio di odio seminato in primis anche dai nostri politici.
Ovviamente su questo efferato delitto le varie parti si stanno già spartendo i resti, come avvoltoi su una carcassa d’animale. Per cui da una parte l’opinione pubblica, razzista e populista, sta già gridando che il problema sono i musulmani e che bisogna cacciarli. Dall’altra la comunità ebraica, che sempre più dichiara di sentirsi minacciata, urla che la loro scelta di rifugiarsi in uno stato protetto e indipendente come Israele è più che giusta (anche se a discapito dei palestinesi), e infine i musulmani, che da parte loro, accusano gli europei di essere razzisti e di non volere una vera integrazione.
Un circolo vizioso che rischia solo di esasperare sempre di più il clima di paura e di violenza che serpeggia ormai in tutta Europa. Ma allora cosa si può fare? A mio avviso si deve ripartire da una cultura e da un linguaggio diverso, moderando i termini e iniziando a capire che i delitti vengono commessi a prescindere dalla nazionalità e dalla religione. Avviando politiche di inclusione nuove, che puntino a una maggiore scolarizzazione dei ragazzi (non solo quelli stranieri), perché uno dei grandi problemi del nuovo millennio è il ritorno di un certo analfabetismo, che non è solo pratico, ma anche e soprattutto funzionale. Bisogna ricominciare capire e conoscere l’altro, perché la cultura è l’unica vera arma per sconfiggere il male, perché abbiamo visto che pistole e intransigenza non hanno portato da nessuna parte.
(Articolo pubblicato su Notizie Italia News.)